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L´isola pianeta e altri Settentrioni

L´isola pianeta e altri Settentrioni

L´isola pianeta e altri Settentrioni

Editorial: Adelphi

Pàgines: 320

Any: 2006

EAN: 9788845920530

17,80 €

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Per anni, quando i suoi viaggi erano soprattutto quelli del filobus romano 62, da via Nomentana a piazza San Silvestro, Manganelli coltivò un sogno temerario: spingersi sino alle isole Faeröer. Nel 1978, vincendo timori e angosce, con una valigia munita di tutto quanto un frequent flyer giudicherebbe forse inessenziale – un Dickens come amuleto e «blande mani chimiche» che sappiano coccolare nei momenti difficili –, lo scrittore partì alla volta dell’arcaica Islanda, prima tappa della sua incursione nel grande Nord. E l’esito di quel viaggio è un reportage indimenticabile, che suscita nel lettore euforia e insieme turbamento: lo sguardo del traveller sembra infatti misteriosamente capace di svelare la segreta essenza dell’«isola pianeta», dove il mondo fisico – simile a un gigantesco cadavere pietrificato – è preumano, folle, criptico, quasi appartenesse alla «misteriosa araldica delle origini», e ispira dunque sgomento e paura; dove la solitudine è l’esperimento di «una infinita prigione senza via d’uscita», di una «perdita irreparabile»; dove l’ultima tribù europea, chiusa nel forziere di una lingua infrangibile, offre asilo ai profeti e alle fate. E un paesaggio (ma sarebbe meglio dire non-paesaggio) sognato e folto di simboli è anche quello delle isole Faeröer, sciame di asteroidi emersi dal mare, finalmente visitate nel 1983: terra, come disse Auden a proposito dell’Islanda, non toccata dalla volgarità, votata al culto della solitudine, dei «popoli grigi» che vivono sottoterra, dei sogni premonitori, delle visioni profetiche. «La creazione è appena finita, Dio suda, ha le mani sporche di universo, un universo ancora informe, sfinito dal parto e felice, sebbene ignaro, della propria esistenza, selvatica e pigra. Ma noi, noi uomini, descrittori del mondo, siamo del "dopo", siamo avventizi, possiamo solo avvertire quella coscienza confusa ed enorme che ci accerchia, a Ngorongoro come sulle rive del Myvatn. Queste immagini sono state create, non progettate, e non per noi. Il luogo estetico che, altrove, sarebbe occupato dalla parola "bello", qui potrà essere occupato da una qualche allusione ad una quieta paura, un abbandono senza difesa».

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